Che prodotto simpatico che è il Salampatata. Sarà per il nome, per la sua semplicità o soltanto perché è buono e mi ricorda i tempi andati, ma “a me sta proprio simpatico”: come si dice in gergo popolare. Lo creano pochi produttori che sono gli amici del Canavese, un territorio non lontano dalla città di Torino.
È un salume antico di estrazione contadina realizzato con una miscela di carne di maiale, in prevalenza pancetta e patate bollite, sale, spezie, pepe, aglio e vino. Un insaccato del povero mondo agricolo che di carne ne aveva poca e univa le patate che costavano poco e non mancavano. La ricetta è quella di allora, semplice e genuina. Un salame che non necessita di stagionatura perché si mangia, oggi come un tempo, nel giro di un massimo di dieci giorni.

Vengono tritate le carni con le patate bollite al vapore, poi si aggiungono all’impasto la noce moscata, il sale e il pepe; infine l’aglio schiacciato nel vino, rigorosamente del Piemonte. Si miscela il tutto e lo si insacca all’interno di un budello naturale, gli si fanno dei forellini per favorire l’uscita dell’acqua e si creano dei salami di due o tre etti. Non contiene conservanti e lo si consuma fresco: a fette, spalmato su dei crostini di pane o di polenta passata in padella, oppure come ingrediente per varie ricette. Per esempio come condimento per gli gnocchi di patate unitamente in cottura a dei porri; o come antipasto, squisito ripieno di soffici pagnottelle, compagno ideale, sempre in cottura, con il tomino, altro prodotto caseario tipico della zona. Essendo nel Canavese lo si abbina più che bene con dell’Erbaluce di Caluso nel caso delle pagnottelle, o con il Nebbiolo per gli gnocchi, Nebbiolo che su questa terra assume note e carattere differenti rispetto a quello delle colline del basso Piemonte.

Del Salampatata viene organizzata una bella sagra, l’ultimo week end del mese di gennaio, nel piccolo paese di Settimo Rottaro, nel basso Canavese. E’ un comune di 6 chilometri quadrati con poco più di 500 abitanti. Il simbolo comunale è una bella chiesa dell’architetto Andrea Rana (1715 – 1804), mentre il nome “Settimo” indica la distanza che c’è dalla città di Ivrea: 7 miglia. Rottaro in quanto strada rotaia e pertanto carrozzabile.  Personalmente la festa l’ho vissuta qualche anno fa. Ricordo con piacere la giornata invernale ma non fredda anzi, con un tiepido sole. La sagra va in scena in inverno così come quando, una volta, durante la stagione fredda si abbatteva il maiale e si preparavano i salumi e le carni. Il Salampatata si produceva infatti solo nei mesi invernali mentre oggi, per fortuna, lo si trova tutto l’anno e rientra nei PAT: Prodotti Agroalimentari Tradizionali.

Durante la festa, in una delle piazze di Settimo Rottaro, ricordo di aver trovato la postazione con il gruppo degli appassionati volontari del salume proprio mentre si davano un gran da fare con le dimostrazioni per il pubblico della preparazione del nostro protagonista. Sono molte le persone che raggiungono il paese canavesano in occasione della sagra e anche quest’anno il successo non è mancato.
In passato la preparazione del budello era il lavoro delle donne che con acqua calda lo lavavano e rilavavano, compiendo gesti ben precisi di rivoltamento, poi era messo una notte a bagno con il vino. L’acqua non doveva essere troppo calda se no si rischiava di romperlo durante l’insacco.
Se con il gruppo degli appassionati dimostratori, simpatici e colorati, ebbi modo di incontrare dal vivo per la prima volta la preparazione del Salampatata, qualche giorno fa, l’ho rivista da un produttore in occasione di un servizio per la TV: piaceri del mio lavoro di giornalista enogastronomico!
Parlando di specialità gastronomiche territoriali, durante la sagra, ritrovai con gusto la “Miassa”: una sorta di crepes fatta con acqua e farina di mais (tipo polenta) cotta su dei ferri, posti direttamente sul fuoco, e poi farcita con il Saligun locale (tipo di ricotta) o con la porchetta, o proprio con il piacevole Salampatata.

Ma anche le cipolle ripiene di Settimo: i “Sauli Pieni” (in dialetto rottarese). Sono le cipolle della tradizione contadina, bollite e ripiene con un impasto fatto di pane, latte, uova, formaggio, soffritto di cipolla e misticanze varie e cotte successivamente al forno.  La minestra di trippe, cucinata per ore sulla stufa a legna, preparata con le verdure e chiamata Busecca: a dire il vero, un termine più lombardo che piemontese.  E poi ancora una bella fagiolata fatta a regola d’arte. Cotta per ore sul fuoco dentro ai grandi pentoloni di rame, anche se per quantità più famigliari si usa la tofeja di terracotta. Ma alla sagra le porzioni sono tante e allora, chili e chili di fagioli di Saluggia: località non distante, ma già in provincia di Vercelli e di cui vi ho parlato anche nel programma di Rai Due Eat Parade in passato. Una mix di cotiche, sale, pepe e alloro: i fagioli grassi della sagra! La fagiolata la si mangia con grande gusto, ben calda, con le sua cotiche, pane e un buon bicchiere di vino locale. Infine i formaggi dellaValchiusella (altro territorio non distante) a base di latte ovino, caprino e bovino. Delle ottime caciotte e squisite tomearomatizzate, prodotti decisamente di nicchia e di alta qualità. Che bei ricordi di quella giornata di sagra e che bella realtà la produzione del Salampatata: il salame che non si stagiona!

(Fabrizio Salce)