Per quanto riguarda cosa mangiare il 24 sera, la regola (ferrea per molti…) vuole una cena di “magro”, solitamente a base di pesce (poi a Natale ci si può sfogare…). Dopo, frutta secca, panettoni e… i regali! Quelli, rigorosamente, vanno aperti allo scoccare della mezzanotte o la mattina della festa, dopo l’arrivo di Babbo Natale!


Si, ma… Cosa non si deve mangiare la Vigilia di Natale? Origini storiche del precetto.

La Vigilia prevede l’astinenza, il divieto di mangiare carne per tutto il giorno: si tratta di una regola che ammette, al contrario, il consumo di uova, latticini e, appunto, pesce (da qui l’espressione “andare di magro”). Questo – dal 1917 – lo stabilisce il Codex Iuris Canonici (Codice di Diritto Canonico) nei giorni della vigilia delle solennità di Pentecoste, dell’Assunta, di tutti i Santi e, dunque, del Natale.

Allora? Cosa mangiare la sera del 24? Ogni territorio ha le proprie usanze, ma se c’è una consuetudine che di questi tempi prosaici, mette d’accordo tutta l’Italia, è quella secondo cui alla vigilia di Natale si porta in tavola la tradizione. E la sera del 24 dicembre per tantissimi, è il trionfo dei piatti a base di pesce. Ma quali pesci si mangiano la Vigilia di Natale?

 

La nostra usanza vuole che le ricette per il cenone tradizionale del 24 siano a base di anguillacapitone, baccalà e poi salmone, crostacei, gamberi e gamberoni gratin, pesci al forno, e così via. Il menù della Vigilia di Natale è una vera festa del mare: in Lombardia uno dei piatti più preparati e gustati è l’anguilla cotta al cartoccio, in Veneto si mangia la polenta con il baccalà (e c’è invece chi vuole, il lesso con le salse…) a Venezia, via ai grandi crostacei dell’Adriatico, astici, gamberi e granchi, a Modena si mangia pesce soprattutto in conserva: lì si gustano gli spaghetti con tonno, sgombro, acciughe e pomodoro, ma anche il baccalà in umido o fritto. E il baccalà è protagonista anche nelle tavole della vigilia nel Lazio, dove abbonda il fritto misto e il capitone. A Roma, alla Vigilia, non può mancare la minestra di pesce (o la pasta e broccoli in “brodo di arzilla”). 

Ci sono anche gli spaghetti con le alici, l’anguilla fritta o in carpione (salmonide, quasi scomparso presente solo nel lago di Garda) e l’irresistibile insalata di puntarelle. Sul litorale romano, per la vigilia a base di pesce, si è edificata una storia infinita e le prenotazioni sono fioccate già da mesi. (E per finire, torrone e panpepato e tanta frutta secca da sgranocchiare).

 

Sul versante adriatico si gustano le cime di rapa e le “pettole” (frittelle di pasta lievitata farcite con pomodori, capperi, origano e alici) ma anche gamberi sgusciati, sempre con cime di rapa, ma stavolta con ricotta, accompagnati da anguilla arrostita e baccalà fritto (ma in alternativa è tollerato l’agnello al forno con i lampascioni, le cipolline leggermente amare…
In Abruzzo e in Molise si mangia la zuppa di cardi, “lu cardone”. Per i molisani Doc ci sono il brodetto alla termolese a base di pesce e il baccalà arracanato, fatto con mollica di pane, aglio, alloro, origano, uvetta, pinoli e noci, o quello al forno con verza, prezzemolo, mollica, uva passa e noci.

Anche sulla tavola natalizia delle famiglie del Sud, per la Vigilia in molti mangiano il capitone, ossia la femmina dell’anguilla.
N.B.: Essendo molto simile a un serpente, il capitone simboleggerebbe la vittoria degli uomini sul diavolo, che assunse proprio la forma di questo animale per tentare Eva.

Sempre in gran parte del Sud Italia, via di brodo di cappone, spaghetti alle vongole, friselle, (oppure cappone imbottito) con insalata di rinforzo e friarielli e poi struffoli, babà, roccocò e tanta goduriosa frutta secca. Pesce e verdure non mancano in Basilicata e Puglia. La minestra è di scarole con verze e cardi in brodo e poi baccalà lesso e pane con le mandorle. La Calabria (a parte i noti salumi, dalla pancetta al capicollo, dalla soppressata alla salsiccia) si va di spaghetti con mollica di pane e alici o pesce stocco accompagnati con broccoli calabresi saltati. A Cirò Marina, ci hanno pensato per tempo conservando dai mesi scorsi le sarde per il cenone della vigilia – in nome della sobrietà assoluta che vuole la cena di magro – e con un pugno di spaghetti, la pasta con le sarde, è fatta!

In Sicilia la vigilia si apre con l’insalata di arance, aringa e cipolla e cardi in pastella (gallina in brodo, facoltativa…) poi, pasta con le sarde a beccafico imperano con  sfincione (pizza tipica a base di cipolla, che si abbina ai cardi in pastella). Anche a Caltagirirone, non si rinuncia allo spaghetto con sarda e finocchietto! Tanti poi i dolci: da buccellati a cassate e cannoli.

In Sardegna, la vigilia di Natale è “Sa nott’è xena”, “la notte di cena” nella tradizione campidanese, è la notte in cui In Costa Rossa si prepara la zuppa Gallurese, con tanto pane per fare del 24 dicembre, un momento magico. Sulle tavole di molti paesi dell’interno per tradizione predominano le carni di agnello, capretto e maiale, cucinate arrosto allo spiedo nel camino, o in umido, ma per i tantissimi isolani che seguono la tradizione cristiana, prevale la cultura marinara: il menù a base di pesce, con insalata di polpo, burrida, caciucco (o zuppa di pesce sono la stessa cosa) è uno  stufato di mare con numerose varietà (l’importante è che il pesce sia stufato) anche il gattuccio in salsa agrodolce di noci, o il “pesce a “scabecciu” pesce fritto immerso in una salsa agrodolce a base di pomodoro e aceto, aromatizzata con alloro.
Poi, sempre nell’Isola di Ichnusa, ci sono i deliziosi dolci: seadas, is pabassinas, gli amaretti, il pane sapa (ciambella a base di mosto cotto, mandorle e scorza di arancia) e il torrone alle mandorle. Dolci da degustare accompagnati da un buon liquore di mirto o un vermentino… ma quella è un’altra (squisita) storia…

 

 

Comunque mentre, tra i primi, non possono mancare le vongole veraci, ormai disponibili tutto l’anno, per dopo – dai fidati “pusher” del mare – si trovano freschi freschi, gli altri pesci di stagione che a dicembre sono: alici, cefali muggini, gattucci, mazzancolle, moscardini, naselli, pagri, pannocchie, polpi, rombi, saraghi, sardine, seppie, sgombri, sogliole, spigole, spinaroli e triglie. Ce ne sono per tutti i gusti!

 

 

 

“Allora, signori, buon appet…” – e se mantre lo dite, con gli sguardi i vostri commensali sembrano fulminarvi… meglio non dirlo…  Eppure tradizione vuole che fu Carlo Magno a sdoganare per primo l’espressione “buon appetito” in occasione dei banchetti che l’imperatore del Sacro Romano Impero organizzava una volta all’anno per la servitù: ma questo invito, però, era inteso come un “avvertimento”… E, qualche secolo dopo, memori di ciò, i soloni del galateo, lo aborrirono definitivamente. Allora prima di attivare mandibole e mascelle, cosa dire al posto di “buon appetito”? Se volete rispettare il bon ton, ma rimanere in silenzio vi pare scortese, in alternativa (seppur approvato, obtorto collo, dal galateo) si può sempre dire: “buon pranzo” o “buona cena” signori!  E, stasera anche… tanti auguri!

 

(a cura di Gianluigi Veronesi)