Le conseguenze della guerra in corso tra Russia e Ucraina sono molte e pesanti per l’economia in generale e, in particolare per il settore del vino italiano. L’Italia è al primo posto assoluto, tra gli esportatori di vino proprio in Russia, con una quota di mercato intorno al 30%… Quindi, una già grave conseguenza, dovuta alla situazione in essere e per via delle sanzioni decise dall’Unione europea, è il blocco delle vendite di vino, sia verso la Russia (settimo importatore al mondo del nostro vino confezionato e quarto importatore di spumanti) sia verso l’Ucraina (ventiduesimo posto fra gli importatori, sempre del nostro vino confezionato e al ventesimo per i nostri spumanti). Gli ultimi dati, riferiti da Federvini, registravano nel 2019 circa 90 mila tonnellate di vino verso la Russia (più di 120 mila bottiglie per un valore di oltre   300 milioni di euro) cifre che sicuramente sono lievitate nel 2020 e nel 2021 anche per il  successo ottenuto in quei periodi dal nostro Prosecco, molto apprezzato là. Stesso trend, anche se con cifre inferiori, per le vendite verso l’Ucraina. Fin qui i numeri dei prodotti finiti, ma i costi – notevolmente – aumentati per la produzione vitivinicola, a cominciare da quelli delle materie prime, in primis l’energia – che serve per movimentare i macchinari – i costi riferiti ai prodotti chimici come i fertilizzanti e i costi per i trasporti in generale, senza dimenticare che anche la manodopera, spesso proveniente proprio dai paesi dell’Est Europa, è in netto calo e, tutto ciò mette in difficoltà notevoli le  aziende, considerando anche la già scarsa marginalità economica. Dunque, per i vari aumenti – mercato docet – caleranno i consumi e aumenteranno i costi di produzione, si taglieranno posti di lavoro, diminuiranno i salari e – ahinoi! – crescerà la povertà. Il fatto è che non tutti potranno “bere per dimenticare” tutto ciò, perché il vino è un bene di consumo non proprio necessario e che può essere “tagliato” in favore di spese familiari, più basilari…

Dunque, stappare una bottiglia, oggi ha costi più salati…

“Il vetro è aumentato del 30%, il cartone, intorno al 50%, il sughero, 40%, gabbiette e capsule, sono a più del 20%” – asserisce Stefano Cavani (produttore vitivinicolo) –.

 

 

Il grido di allarme viene dal modenese, terra di Lambrusco, ma si tratta di un problema comune a oltre 15 mila aziende vitivinicole italiane. E’ uno degli effetti collaterali della guerra in Ucraina: dal Donbass arrivano infatti, soda e sabbia per l’industria del vetro, mentre i rincari energetici, incidono pesantemente sulla produzione di sughero, carta e alluminio e così secondo Coldiretti, i costi per il vino italiano, sono schizzati del 35% con un possibile impatto sulla filiera vitivinicola di un miliardo di euro!

Luca Borsari (Coldiretti): “Rispetto agli aumenti rileviamo il prezzo di vendita al consumatore diminuito di un punto quasi e mezzo e, per tutelare il viticoltore, dobbiamo assolutamente applicare la legge sulle pratiche sleali che garantisce il giusto reddito ai produttori. Tutelare il patrimonio vitivinicolo, significa anche tutelare l’agroalimentare italiano”.

Il tempo stringe e l’orizzonte della prossima vendemmia, appare quanto mai incerto.
“Dopo un 2021 veramente buono, sia dal punto di vista produttivo che commerciale – conclude Stefano Cavani – siamo molto preoccupati per l’andamento e le incognite che ci saranno in questo 2022”.
Si faranno tutti gli sforzi necessari perché il vino italiano deve essere difeso – com’è stato evidenziato da più voci anche nell’ultimo Vinitaly (finalmente di presenza dopo due anni!) – difeso dalle speculazioni sui prezzi, dallo shopping delle multinazionali che vogliono rilevare i brand simbolo del made in Italy e finché non si ristabilirà la tanto agognata pace tra Russia e Ucraina e allora sì che tutti noi… “liberemo, liberemo ne’ lieti calici!”

(Antonio Farnè – inviato TG2 Rai)