Certo che Verona vive di Vinitaly e gli ospiti di Vinitaly godono una città meravigliosa e, di una regione Veneto, dove il profumo e il gusto di vino si sente (e si vede con il paesaggio!) dalle basse alture fino ai terrazzamenti di Valdobbiadene, Saccol, Cartizze. Un anniversario UNESCO da tenere stretto e migliorare sempre. Ma questo Vinitaly – edizione 56 – mi è piaciuto molto di più del solito.
Meno persone in giro a cazzeggiare, una presenza dei giovani “millennial” cospicua e attenta (invece quasi assente la “Gen Zero”… su cui riflettere) stand più arieggiati utili per respirare anche in giornate calde (Emilia Romagna) parcheggi finalmente comodi accessibili e con spazi, qualche cantina in meno, aggregazione associative di piccole cantine concentrate e impegnatissime (Fivi su tutte) forse un eccesso di “calca” umana in Sicilia, in Piemonte e in Veneto (ma regioni top) qualche interessante nuova etichetta… tutti aspetti importanti che qualificano e che hanno attirato molti più addetti ai lavori che non a Parigi a febbraio o anche a Düsseldorf (Prowein: fiera dei vini e liquori, che si tiene a marzo in Renania settentrionale-Vestfalia). Il successo è dato dai tanti operatori economici.

                                                                   VS    = 2 a 1

Il mio primo Vinitaly (da produttore) è stato nel 1981 (direttore il grande Betti) e non sono mai mancato. Bene la vastità ed eterogeneità della comunicazione (seppur un eccesso di influencer veri o finti) molto bene un business misurato soprattutto “dentro” gli stand delle grandi cantine; ottimo il rapporto cliente e amico con il produttore presente… ma il vero successo del 2024 è l’aria e il contenuto “culturale” che si respirava, al di là degli eccessi euforici di pragmatica di qualche produttore e qualche eccesso di “criticità economica” sottolineata dal numero eccessivo di “agenzie statistiche” fiorite come funghi negli ultimi anni  per volumi e fatturati non più esponenziali. A parte le bollicine (Prosecco doc in testa, ma benissimo anche Valdobbiadene, Franciacorta, Trento, Asti, Alta Langa), i rossi segnano una frenata nei numeri ma una crescita di fatturato all’estero soprattutto. I vini bianchi dop e autoctoni piacciono sempre di più con una crescita dei volumi e giro d’affari. Ma i simboli dell’iconica edizione 2024, sono stati i temi culturali dei vari convegni e incontri (a parte quelli pomposi istituzionali con una presenza quasi dell’intero Governo Meloni): si è respirata una aria tecnica e propositiva in linea con i cambi di passo “obbligati” che il mondo del vino (e della vite) italiana deve fare. Soprattutto gli aspetti produttivi, colturali, disciplinari di produzione, modelli ambientali, rapporti produttori e sindaci (occorre un rinnovo stretto di rapporti come ho segnalato alla Associazione Città del Vino) status climatico, nuove zonazioni distrettuali, concentrazione dei brand, riduzione delle tipologie di vini, nuove scelte di impianti estesi e non intensi di vigne e di esposizioni più fresche delle valli, crescita del livello di impianto anche verso le vette alpine….

Tutti temi che rientrano dentro ad un nuovo modello-progetto di viti-vini-cultura nazionale. Ottimo e completo l’intervento del prof. Luigi Moio, presidente Oiv (Organisation Internationale de la Vigne et du Vin) mentre ancora un po’ troppo statici, attenti al passato i curatori delle guide, le associazioni sommelier e gli enologi stessi in cui l’aspetto “cantina” deve assumere una nuova competenza e competizione.

    

Gli agronomi stanno prendendo piede se in grado di fornire una innovazione tecnica “intelligente” superiore all’ordinaria amministrazione, senza farsi prendere da iniziative estemporanee di giornata simili a quelle  delle troppe “influencer” bazzicanti fra gli stand.

Infine un messaggio ai produttori: attenzione al prezzo finale al consumo. Ben vengano gli ottimi incrementi delle vendite dirette dai portali delle aziende e in cantina (ma a prezzi in linea con disponibilità del cliente altrimenti si perde la fascia “borghese mediana” del consumatore di vino) bene l’eno-turismo in pieno boom, ma attenzione ad una euforia globalizzante che non c’è perchè il mercato richiede canali differenti, ma prezzi molto omogenei per fascia.

Infine bene la nuova comunicazione (messaggio diretto al consumatore anche per categoria di consumo) che non si basa più sul personaggio vip con bottiglia in mano, sulla imitazione e invogliare a emulare… il rapporto del personaggio oggi deve essere calato dentro il carrello della spesa, dentro il tempo libero, dentro la soddisfazione personale fuori dai canoni oggettivi di una spesa diversificata, perchè oggi il carrello e gli atti di acquisti sono diminuiti e puntano principalmente su prodotti fondamentali, primari. Mentre il costo al ristorante, il week end, il fuori casa è concepito come un “obiettivo” di vitale importanza sociale e conviviale.

 

 

 

E su questo occorre puntare anche per recuperare la “Gen Z”, vero obiettivo, ma solo attraverso un modello concreto e reale di consumo consapevole, misurato, salutare, attento, in percentuale sono o possono essere i mercati fra 10-20 anni. Questo approfondimento è fondamentale per la vita di tante imprese piccole e prossimali ai luoghi di consumo. Infine una chiosa: vogliamo produrre e bere vini dealcolati? Benissimo massima libertà… ma non devono assolutamente essere chiamati legalmente “vini”. Sono bevande spiritose come da decenni già la UE classifica fuori dal mondo enologico. Sempre per la UE: spero in un cambio orizzontale e verticale della Pac (politica agricola comune) subito prima possibile e dei “piani” agricoli non più regionali, ma interregionali per “unità di prodotto”

 

(a cura di Giampietro Comolli)