La ricetta “aggiornata” dello storico ragù delle Due Torri, è stata depositata dalla delegazione bolognese dell’Accademia Italiana della Cucina, presso la Camera di Commercio di Bologna.

La prima ufficializzazione, fu molto tempo fa, poi, per sancire con tutti i dovuti crismi, la storia, le modalità di esecuzione e i diritti del famoso “ragù alla bolognese”, l’Accademia Italiana della Cucina ne depositò la ricetta storica, il 17 ottobre 1982 presso la Camera di Commercio di Bologna.  Oggi, a oltre quarant’anni di distanza, sempre l’Accademia Italiana della Cucina ha pensato opportuno “attualizzare” tale ricetta, per le ormai note difficoltà di trovare qualche ingrediente necessario per la preparazione e, modernizzarne alcuni passaggi basilari per la realizzazione…

La prima fonte scritta che riporta la ricetta del ragù bolognese servito come condimento per la pasta, è un manoscritto di fine settecento, redatto da Alberto Alvisi, cuoco del Cardinale  Barnaba Chiaramonti, vescovo di Imola e futuro papa Pio VII.  E’ stato poi il gastronomo emiliano Pellegrino Artusi nel 1891 a descrivere la prima ricetta ufficiale del ragù alla bolognese.

Nell’ottobre del 1982 la delegazione di Bologna dell’Accademia italiana della cucina ha depositato presso la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Bologna la “ricetta del ragù alla bolognese”, allo scopo di garantire la continuità e il rispetto della tradizione gastronomica bolognese, in Italia e nel mondo. In questi giorni (aprile 2023) la stessa delegazione dell’Accademia – capitanata dal segretario generale Roberto Ariani – ha depositato sempre presso la stessa Camera di commercio, nelle mani del suo presidente, Valerio Veronesi, la “ricetta originale” del “ragó” (in dialetto) adeguata e aggiornata alle abitudini di consumo dei “gourmet” di oggi.

Tra i motivi che hanno portato alla decisione di rivedere la ricetta, la difficoltà ai nostri giorni nel reperire, nelle macellerie e nei supermercati delle città, la “cartella” (o “diaframma”, parte anatomica della pancia, principale muscolo respiratorio del bovino, in genere venduto a parte) o, in alternativa – come prevedeva la ricetta originale – pancia o fesone di spalla o fusello, ricchi di collagene, che, macellerie e supermercati, hanno proposto – in subordine, sempre più – con il “macinato misto”. Si tratta di carni di bovino adulto e suino – parti meno nobili della spalla, quelle più muscolose insieme al petto, alla pancia e al reale – disossate e sottoposte a macinazione in frammenti (macinato che contiene meno dell’1% di sodio) carne, questa, che però a detta di molti “addetti ai lavori”, spesso risulta troppo magra, duretta e asciutta…  Inoltre, è confermato che non sono ammesse assolutamente, come varianti, la polpa di vitello, la pancetta affumicata, la carne esclusivamente di maiale,l’aglio, il rosmarino, il prezzemolo, il brandy (in sostituzione del vino) e la farina. Tra le variazioni concesse, invece, l’utilizzo di fegatini, di cuore e durelli di pollo, salsiccia di maiale sbriciolata, piselli scottati (aggiunti a fine cottura) e funghi porcini secchi ammollati.
Qualche esperto, prendendo atto delle ultime variazioni sul tema, ha scongiurato la possibilità di usare il latte. Mentre è sdoganato a pieno titolo l’uso del “dado” al posto della semplice “acqua” (si legga “brodo”) che serve per non fare asciugare il ragù mentre sta a sobbollire – dado non proprio ben accetto a tutti coloro preposti ai lavori… –.  Confermata anche la “panna” (ottenuta dalla bollitura di 1 litro di latte intero) quando il ragù è pronto (secondo l’uso di molti bolognesi) se si tratta di condire paste secche. Per le tagliatelle, o altre paste fresche all’uovo, il suo impiego è assolutamente da escludere!

In definitiva, dopo lunghe e approfondite ricerche condotte dall’apposito Comitato di studi dell’Accademia Italiana della Cucina (che annovera delegazioni in ben 85 Paesi del mondo) la ricetta del ragù alla bolognese, la “più richiesta nel mondo”, è stata fissata in un atto notarile che entra oggi (20 aprile 2023) a far parte della preziosa ed unica raccolta della Camera di commercio di Bologna.
Gli elementi stabiliti nella ricetta sonopolpa di manzo macinata grossa, pancetta fresca di maiale a fette, sedano, carota e cipolla, doppio concentrato di pomodoro e passata di pomodoro, un po’ di vino, bianco o rosso, un bicchiere di latte intero (facoltativo) brodo di carne o vegetale leggero (anche di dado); olio extra vergine d’oliva, sale e pepe.

Procedimento: in una casseruola (di ottima qualità, pesante, antiaderente o di alluminio o in ghisa smaltata o in coccio di 24-26 cm di diametro) fare sciogliere la pancetta macinata o tritata con 3 cucchiai d’olio. Quindi, aggiungere gli odori tritati finemente sul tagliere (non usare il mixer) e fare appassire il battuto lentamente a calore medio basso, sempre girando con un mestolo di legno (la cipolla non deve assolutamente prendere il sapore di bruciato).  Alzare il calore e unire la carne macinata e, sempre mescolando accuratamente, cuocerla per una decina di minuti fino a quando “sfrigola”.  NB: le carni si fanno ben rosolare a parte, da sole, e poi si mescolano al battuto degli odori anch’essi già rosolati.  Versare il vino, farlo evaporare e ritirare completamente, finché non si sentirà più il suo odore e, poi, unire il concentrato e la passata.  Continuando a mescolare, versare una tazza di brodo bollente (ma si può usare anche semplicemente dell’acqua) e far cuocere piano, a recipiente coperto, per circa 2 ore (anche 3 ore secondo le preferenze e le carni usate) aggiungendo il brodo caldo man mano che occorre. A metà cottura, secondo una consigliabile antica tradizione, si può aggiungere il latte che deve essere fatto ritirare completamente. A cottura ultimata, aggiustare di sale e pepe. Il ragù dovrà risultare di un bel colore arancione scuro, avvolgente e cremoso.

E per la serie “città dove vai… ragù che trovi!”, nel resto del nostro Paese, come sono i vari tipi di ragù?
Dopo quello “petroniano” il più autorevole, come squisitezza culinaria, è quello napoletano che deriva da un piatto della cucina popolare medioevale provenzale di carne di bue, mescolate a verdure e cotto a lungo in un recipiente di creta. Nel 1773 fu il cuoco Vincenzo Corrado a descrivere la prima variante napoletana dello stufato francese e a definirla come un semplice condimento.  A Napoli si usava la pratica di inserire durante la bollitura una foglia di alloro (che si toglieva a cottura ultimata) serviva per eliminare l’acidità in eccesso del pomodoro e rendere il sugo più digeribile.

La principale differenza tra il ragù “bolognese” e il napoletano, è la consistenza più densa del petroniano, perché tra gli ingredienti primari di quello napoletano, ci sono più pomodori. Poi i napoletani utilizzano il vino rosso, mentre i bolognesi preferiscono il bianco. Inoltre, il ragù napoletano vuole una cottura prolungata e a fuoco lento (lì si dice pippiare) che dà i caratteristici sbuffi che, mentre sobbolle, libera una bolla per volta. Il ragù napoletano si sposa magnificamente con la pasta spessa e ruvida come le pappardelle, ma anche i maccheroncini di pasta fresca si prestano molto bene, riuscendo a trattenere bene il sugo; il ragù petroniano, vuole – da sempre – le tagliatelle all’uovo (in tutto il mondo anche gli spaghetti, di semola e grano duro – leggi “spaghetti alla bolognese”-) ma qualora sia utilizzato per condire paste secche, è possibile aggiungere la panna, ma mai per le tagliatelle!

Oltre ai ragù bolognese e napoletano – i più noti per fama – è doveroso menzionare quelli che utilizzano ingredienti diversi o particolari e/o modalità di esecuzione peculiari come il ragù di castrato abruzzese, il misto alla lucana della Basilicata, il ragù di maiale calabrese, obbligatorio quando si portano in tavola i “Fileja” o  gli gnocchi di patate. Anche la cottura del ragù alla calabrese, deve essere lunga, non meno di 5 ore, e svolta ovviamente a fiamma bassa.  Quello friulano prevede il camoscio protagonista, l’abbacchio laziale, ovviamente l’agnello da latte; il ragù ligure vuole il maiale in bianco. Poi ci sono ancora il ragù d’oca alla Lomellina in Lombardia, il ragù di cervo alla piemontese: in ogni parte del Piemonte, si usa aggiungere la carne più utilizzata in quella precisa zona: nelle Langhe e nel Monferrato, si impiegano manzo e vitello, nel novarese e nel vercellese, manzo, maiale e anche salsiccia, nel borgomanerese, mettono anche trito di cavallo o asino… Il vero segreto del ragù Piemonte, è la cottura molto lenta sul “putagé”  (la stufa, così detta nell’area franco-piemontese) che è molto meglio di quella sul fornello a “gas città”) il tutto per condire i “tajarin” o i “ravioli al plin”, o la pasta al forno. Poi c’è il ragù potentino: quest’ultimo è preparato con la carne mista della cucina tradizionale della città di Potenza ed è meglio noto come “’ndruppeche”, in italiano “intoppo o inciampo”, perché mentre si mangia la pasta così condita, si inciampa (metaforicamente) nei pezzetti di carne che lo compongono. Si accosta a paste fresche, preparate, secondo la tradizione culinaria dell’Italia meridionale, senza l’utilizzo dell’uovo, nei formati tipici della cucina lucana: fusilli, ferretti e strascinati, naturalmente piatti insaporiti aggiungendo peperoncino fresco, secco o sott’olio e, tradizionalmente nel periodo di Carnevale, con rizoma di rafano grattugiato al momento.

Ragù in Veneto: si fa molto tirato e secco, e, quando pronto, è molto cremoso grazie alla panna con la quale si manteca a fine cottura. Dal gusto molto particolare a causa della presenza della inusuale carne di petto d’anatra (oltre a tacchino e a maiale) potrebbe venire servito in qualsivoglia occasione poiché è capace di adattarsi a ogni piatto. Concessa la variazione al vitello in bianco e, nelle zone costiere, approvati due tipi di ragù al pesce.

Ragù alla toscana: si mettono a soffriggere a fuoco medio gli odori con l’olio EVO, si mescola il macinato con fegatini di pollo (o salsicce private delle pelli) e si aggiunge il soffritto a piccole manciate, cuocendo tutto a fuoco alto finché non sarà ben dorato (mescolando perchè non si attacchi al fondo). Alla fine, quando è bello brunito, si aggiunge il vino (bianco) poco per volta e lo si lascia evaporare, dopo di che si uniscono i pelati frullati grossolanamente, anche un po’ di alloro e si lascia cuocere per tre quarti d’ora a fuoco medio con la pentola scoperta. Quando il ragù comincia a ritirarsi, si mette la pentola su un fornello più piccolo e si fa “sobbillire” per almeno altre due ore, sempre a fuoco basso. Quando sarà ben rosolato, sale e pepe.

Ragù nelle Marche: la tradizione vuole il ragù alle olive, olive bianche dolci e olive nere, tutte denocciolate, cipolla bianca, costa di sedano e mezzo cucchiaino di semi di finocchio, mezzo  cucchiaio di estratto di pomodoro, due cucchiai abbondanti di salsa di pomodoro, olio EVO, sale q.b. e peperoncino… Questo l’ingrediente fondamentale per i guduriosi “vincisgrassi“, piatto apoteosi del ragù marchigiano.

Ragù tradizionale di Roma: lì si chiama “sugo di carne” e può essere con gli involtini, oppure in umido o anche con durelli tagliati a pezzetti piccoli ed eventualmente funghi scolati e fegatini di pollo. Si lascia il tutto sul fuoco al minimo per un’ora e mezzo almeno. Con questo ragù si condiscono fettuccine, lasagne, melanzane alla parmigiana, risotto e si fa il ripieno dei supplì. Se è poco…  Poi, in regione (Lazio) la tradizione si rispetta con lo stesso ragù – ma con carne d’agnello – con un formato di pasta delicato: il “Fieno di Canepina”, un tagliolino sottile che si scioglie in bocca e, con il ragù d’abbacchio e un calice di buon “Frascati Superiore” (fruttato, delicato, sapido e fresco) trova il suo accostamento perfetto.

Ragù, in Puglia è quello con le bracioline baresi (involtini di carne di vitello con canestrato pugliese e pancetta) oppure il sugo della domenica, con puntine di maiale (ovvero costine) e ancora al pomodoro con manzo, agnello e maiale per condire le orecchiette (a base di farina di semola e acqua) alla barese, spolverate con Pecorino grattugiato. Gustose alternative: detto ragù con i minchiareddhi, con i troccoli, o ancora su cavatelli, strozzapreti, linguine, gnocchi, trofie.

Ragù alla siciliana: carne con piselli, è perfetto per condire lasagne, cannelloni pasta ripiena, oppure per farcire gli arancini. Si prepara sempre con un soffritto di sedano, carota e cipolla, si fa appassire e poi si aggiungono i piselli e si cuoce per qualche minuto. Poi si mette in pentola un macinato misto di bovino e suino a pezzettini (anche solo di bovino, o solo di maiale). Si cuoce con vino rosso che si sfuma piano piano. Si aggiunge il concentrato e la passata di pomodoro, un po’ d’acqua, si mescola e cuoce per almeno un’ora a fuoco lento e con il coperchio, mescolando ogni tanto (se necessario, correggere l’eventuale acidità del pomodoro con un pizzico di zucchero). Un consiglio? Il ragù con piselli alla siciliana si deve preparare il giorno prima (anche due) per gustarlo al meglio…

Ragù, in Sardegna lo fanno così: in un tegame si fa scaldare un po’ di olio con verdure tritate fino a farle appassire (circa 15 minuti a fuoco basso) sempre facendole rimanere trasparenti. A questo punto si aggiungono salsiccia spellata e sbriciolata, carne di maiale e vitello. Si fa rosolare il tutto bagnando con vino bianco e, quando evaporato, si uniscono i pomodori. Si  aggiusta di sale e pepe e si fa cuocere per circa un’ora. Se sembra troppo asciutto, si allunga con un po’ di brodo bollente. Alla fine, con due foglie di basilico tritate, questo gustosissimo ragù, può condire gli gnocchetti sardi, o i Malloreddus (tipici della regione del Campidano) o i “CigionesCiocioneddos” nei dintorni di Sassari, i “Macarones cravaos” nel nuorese, o i “Chiusoni” in Gallura e i “Cassulli” a Carloforte. In alternativa, per i bongustai… si gusta sul pane “Carasau” e… buon appetito!

Ragù “carne free” a base di “carne per vegetariani” (nelle varianti al cavolfiore, alle lenticchie, ai ceci o alla zucca, questa in “versione autunno”). Per vegani e vegetariani, in genere si usa il “seitan”, meno conosciuto del “tofu”: è alimento proteico, ricavato dal glutine del grano di tipo tenero o dal farro. Quando pronto, questo ragù, racchiude in sé tutti gli aromi classici:  carota, cipolla, sedano e pomodoro, declinati però con un’inaspettata leggerezza. Prima di giudicarlo, bisogna provarlo, magari per condire delle ottime “tagliatelle senza uova”…

Curiosità

La parola “ragù” deriva dal francese “ragoût”, da “ragoûter” che significa risvegliare l’appetito, perché originariamente indicava i piatti di carne stufata (o anche di pesce o di verdure) cotti a bassa temperatura e per molte ore, con abbondante condimento.

Quanto ragù su un piatto di pasta? Su 80 grammi di pasta si possono aggiungere 3 cucchiai da cucina di sugo, accompagnato da un paio di cucchiaini di Parmigiano grattugiato.

Un piatto di pasta al ragù abbinato a una porzione di verdure di stagione – nutrizionisti docet – può rappresentare un pasto sano e completo, in nome anche della nota “dieta mediterranea”.

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