E’ la città del Tricolore dalla fine del XVIII secolo, del vessillo che divenne la bandiera nazionale, ma è anche città ricca di storia, nota per la sua gastronomia e per l’alta qualità della vita. E’ di origine romana, adagiata sull’antica via consolare che ancora oggi si chiama “via Emilia”, ma è più famosa proprio per la nostra “bandiera” che, nella sala del palazzo settecentesco, ancora oggi adibito a municipio, nacque ufficialmente il 7 gennaio 1797.
Lo conferma Mario Gobbi, capufficio stampa del Comune di Reggio Emilia: “Il primo Tricolore nacque per decreto dell’assemblea della Repubblica Cispadana appena nata, che comprendeva i deputati delle città di Bologna, Ferrara, Modena e appunto, Reggio Emilia, confermando che l’unità nazionale, già in embrione in quel periodo, era fondata sulle “municipalità”… La spina dorsale del nostro Paese sono le città.”
Nella stessa piazza del municipio si può ammirare il duomo: l’impianto è romanico, all’interno un incrocio di stili dovuto alle numerose ricostruzioni. A poca distanza l’intatta maestosità del teatro Valli, edificato a metà del XIX secolo. Il cuore di Reggio svela un altro tesoro tutto da scoprire: i chiostri di san Pietro, meraviglioso esempio di complesso monumentale del 500.
Francesca Castellini, autorevole guida turistica spiega meglio: “Qui c’è il chiostro “piccolo”, tipico esempio di architettura rinascimentale realizzato su progetto di Bartolomeo Spani e Leonardo Pacchioni, mentre gli affreschi, datati tra il 1524-26, sono opera di Simone Fornari.” Poi c’è il chiostro “grande” e sebbene la sua costruzione fu iniziata 15 anni dopo il “piccolo”, l’architettura è completamente diversa: in questo luogo, l’architettura è completamente “manierista” e il progetto è stato realizzato da Giulio Romano”.
La vocazione culturale di Reggio Emilia attraversa i secoli e abbraccia anche l’arte contemporanea: tracce ben visibili e di grande importanza come la “collezione Maramotti” che racchiude una selezione di oltre 200 opere di artisti del secondo ‘900 in esposizione permanente. La collezione ha aperto al pubblico nel 2007 proprio nella sede storica della società Max Mara, dal desiderio del fondatore del brand, Achille Maramotti. Cè anche una sezione dedicata al reggiano Luigi Ghirri, maestro della fotografia d’autore, ospitata nel palazzo dei Musei.
Maria Montanari, responsabile dei musei civici di Reggio: “In occasione del trentennale della morte dell’artista Ghirri, l’attenzione è incentrata sul progetto, in scala diversa, del parco “Italia in miniatura” che per lui rappresentava le tematiche filosofiche ed estetiche che poi ha sviluppato nell’arco della sua produzione. In particolare ha sviluppato la riduzione in scala del “reale”, un po’ l’essenza della fotografia che riduce in scala il reale in cui viviamo”.
In questa terra ricca di storia e tradizioni senza tempo, non può mancare una sosta dedicata ai sapori…
Il noto ristoratore Alberto Paolo Pancaldi, si riferisce ai “cappelletti”: “Sono la ricchezza reggiana classica, in questo caso cucinati con la crema di Parmigiano Reggiano, poi c’è l’”erbazzone” un’altra specialità reggiana, forse non tanto conosciuti fuori da Reggio, è una torta salata fatta di spinaci, bietole, naturalmente i salumi emiliani e il re dei formaggi che è il Parmigiano Reggiano”.
Il tutto rigorosamente irrigato dalle “bollicine” del Lambrusco: quello prodotto nella provincia di Reggio Emilia, ha la caratteristica principale di essere un vino frizzante, che nella tradizione andava incontro a una rifermentazione spontanea in bottiglia nel periodo primaverile: ha personalità, profumi, persistenza, bella colorazione rosso rubino molto intensa, frutta matura al palato, tutti caratteri propri che caratterizzano il Lambrusco Reggiano che deriva dall’uvaggio tra Lambrusco Salamino, Lambrusco Marani, Ancellotta, Maestri, Montericco, Malbo Gentile.
Anche questo prodotto della terra reggiana, vanta una storia antica: già i Romani avevano osservato la vocazione enologica della zona avendo avuto modo di apprezzare i talenti della vite Lambrusca “maritata” all’olmo. I grappoli di quella vite davano corpo a un vino frizzante che sempre accompagnava i piatti della cucina tipica anche di allora che nell’economia locale aveva già un peso importante. Oggi è generalmente vinificato in rosso o in rosato anche se con i nuovi disciplinari è possibile produrre uno spumante bianco da uve lambrusche. La gradazione alcolica complessiva minima naturale è di gradi 11%, sapore asciutto o amabile, non molto di corpo, armonico, fresco e gradevole. E’ venduto anche sfuso in damigiana presso le cantine della provincia. Il Lambrusco, servito giovane e bevuto nella primavera successiva alla vendemmia, si accompagna perfettamente alle lasagne al sugo di carne, ai lessi, allo zampone, al cotechino e ai salumi, ma sempre servito fresco e stappato al momento, tenendo la bottiglia leggermente inclinata in avanti.
(Antonio Farnè inviato Tg2 Rai)