“Sopra al portale della cattedrale dedicata a santa Maria Assunta e santa Giustina c’è un’incisione latina che recita: 122 anni dopo l’anno 1000 prese avvio la costruzione di questo mirabile tempio” – è Manuel Ferrari, direttore del museo della cattedrale di Piacenza, che spiega le caratteristiche della “ecclesia mater” la “chiesa madre” come la chiamavano gli abitanti dell’epoca. “E’ stata progettata dal maestro Nicolò da Ferrara, in stile romanico, contiene un polittico, opera di scultori e decoratori locali, della metà del ’400 e sopra, in alto, il grande capolavoro della cupola dipinta dal Guercino che dal 2017 è possibile salire e visitare da vicino”.

Nel museo della cattedrale sono custoditi un trittico trecentesco opera del pittore Serafino de’ Serafini, diverse sculture in legno e in cartapesta, una sezione dedicata a oggetti consacrati realizzati con materiali preziosi, una piccola pinacoteca con diverse pale d’altare, tra cui “I diecimila martiri crocifissi” di Giovanni Andrea Sirani, la “Madonna dello Zitto” di Giovanni Battista Tagliasacchi e la “Morte di San Francesco Saverio” di Robert De Longe.
Guido Piovene (scrittore e giornalista italiano, Vicenza 1907 – Londra 1974) diceva di Piacenza che è là dove muore la Lombardia e ad essa subentra l’Emilia… negli ultimi anni ha sviluppato una forte vocazione turistica grazie anche ad altre situazioni interessanti: nella basilica di sant’Antonino c’è la torre a 8 facciate e affreschi del XVII secolo, oltre a un portale, chiamato Porta del Paradiso, in cima al campanile del duomo, c’è un angelo di rame – l’”Angil dal Dom” con Croce in mano, che ruota spinto dal vento -. Ogni piacentino sa che quando l’Angelo è rivolto verso Parma, il tempo non promette nulla di buono e, quando guarda la montagna, sono possibili improvvisi cambiamenti con venti che portano temporali.

Nei pressi della cattedrale, c’è piazza Cavalli, ad esempio, fino dal XIII secolo cuore politico e economico della città, dominata dallo splendido palazzo gotico a due colori con ai lati della stessa, le sculture equestri di bronzo realizzate nel ‘600 e raffiguranti Alessandro e Ranuccio Farnese, duchi di Piacenza e Parma.

E proprio alla dinastia dei Farnese che amministrò queste terre nel corso del Rinascimento, è dedicato un imponente palazzo storico che ospita i musei civici: “Nella pinacoteca, il dipinto più significativo è quello di Sandro Botticelli – è la direttrice Antonella Gigli che chiarisce – l’opera è quella della “Madonna adorante del Bambino alla presenza di san Giovannino”, poi, l’ultima nata è la sezione romana del museo archeologico, con dei pezzi veramente straordinari, il più importante dei quali, ad esempio “il fegato etrusco” che serviva per la lettura degli auspici… (le interiora di vari animali venivano estratte e esaminate per predire il futuro)”.

All’interno del museo c’è spazio anche per l’arte moderna: “L’uomo, l’artista e il suo mondo” è il titolo di una grande mostra organizzata dalla Galleria Ricci Oddi dedicata a Gustav Klimt, immortale interprete del secessionismo viennese a cavallo tra ’800 e ’900 (porte aperte fino al 24 luglio p.v.). Vi si può ammirare l’universo femminile in tutte le sue sfumature: la fierezza, l’abbandono, la malizia, con una grande protagonista: “Il ritratto di signora”. “L’opera è stata al centro di un’incredibile vicenda – spiega Lucia Pini, direttrice della Galleria – sottratta dalla galleria nel 1997 e ancora più misteriosamente ricomparsa nel 2019…”.

Intanto non lontano dal centro città, il Po scorre immutabile, e, come il grande fiume, immutabile è anche la gastronomia di questa terra: gusti poveri, profumi ruspanti di cose quotidiane che portano in tavola la Piacenza di una volta.

Il menù tipico – lo garantisce il ristoratore Carlo Giacobbi – è rappresentato dai “pisarei e fasò”, farina, pan grattato, acqua e sale, conditi con sugo di pomodoro e fagioli Borlotti, a seguire, la “picula ‘d caval”, cioè cavallo cotto, macinato e messo in umido con l’aggiunta di polenta, il tutto, innaffiato da  Gutturnio o, a seconda dei gusti, Barbera o Bonarda o Ortrugo. Per finire in dolcezza poi, c’è la “Spongata” nota fin dal 1500: iper calorica, di origine ebraica… forma rotonda e schiacciata, rivestita esternamente di pasta frolla e con un ripieno di miele, mandorle, pinoli, canditi, uva, pane, biscotto polverizzato e, dopo tutto ciò, abbondante spolverata di zucchero a velo…

Tutto questo nella città altrimenti detta “delle tre C” – chiese, caserme e conventi (o, ultimamente, conti correnti) – e che, grazie ai Farnese, stupisce tra cortili, palazzi e chiese… Ma le squisitezze per il palato? No?

(Antonio Farnè)