Il sigaro è un cilindro di foglie di tabacco seccate, fermentate e arrotolate, che può/deve essere fumato….Dall’epoca della civiltà Maya e fra il Trecento e il Novecento dopo Cristo, era già conosciuto un “cilindro” (forse fatto proprio di foglie di tabacco) dal quale un sacerdote, aspirava e soffiava fumo. È nella forma di sigaro che i conquistatori del nuovo mondo scoprirono il tabacco, perché per le popolazioni indigene fumare (e/o masticare) foglie di tabacco era già un’usanza consolidata, ma non considerata, almeno inizialmente, risorsa economica. Le piante di tabacco, presenti un po’ in tutto l’arcipelago caraibico sono state scoperte dai primi europei nell’isola di Santo Domingo. E in quel periodo arrivò la fortuna del tabacco cubano, che sostituì lo zucchero, fino allora il più importante elemento dell’economia locale basata sulla “canna” (appunto, da zucchero) che andò progressivamente perdendosi, perchè in Europa, scoprirono la possibilità di ottenere l’oro bianco e dolce, dalle barbabietole.

Per fare un sigaro si utilizzano cinque foglie di tabacco opportunamente essiccate. La prima si chiama “capote”: al suo interno sono adagiate altre tre foglie che prendono il nome di “tripla” e che danno al sigaro odore, sapore,intensità, aroma e tipo di combustione. Poi il sigaro è pressato per 25-30 minuti e al termine viene applicata l’ultima foglia, chiamata “capa”, che è quella da cui dipende l’aspetto finale del prodotto. A Cuba ci sono 33 marche di sigari con 240 misure diverse. Tutto deve essere naturale, biologico e realizzato a mano: è per questo che il sigaro costa caro e per il prezzo, ci sono da considerare anche il brand, la qualità e le dimensioni.
Come si fuma?
I più esperti, sono proprio meticolosi: controllano temperatura e umidità dell’“humidor” (il contenitore di sigari che mantiene all’interno l’umidità relativa al 65-72%) lo stringono delicatamente tra le dita, per costatarne friabilità e compattezza, poi ne gustano il profumo. Dopo di che, siccome i sigari di qualità realizzati a mano, hanno una parte che deve essere tagliata (perché troppo rigida per essere fumata) con la “ghigliottina” (o il “buca sigari” o altro strumento dedicato, ma i fumatori più “machi” la strappano a morsi “alla maremmana”…) per agevolare il tiraggio e poter essere propriamente fumato. Così, quando il sigaro è pronto per essere acceso, c’è chi prima lo umetta con un goccio di distillato (grappa o rum o cognac o whisky) perché i sigari hanno una differente struttura del gusto (corpo) e con un goccio di liquore, si dà più aroma, ma per gli esperti, il sigaro non si bagna, a meno che non si voglia aumentarne l’umidità. Poi, si accende: si scalda il tabacco in prossimità del piede del sigaro che è la parte che si deve accendere. La tradizione vuole il fiammifero di legno (meglio di cedro) mai con la fiamma odorosa di cerini o candele, mai con accendini alimentati da benzina, preferire quelli al butano o, meglio ancora, il Jet Flame (con una o più fiamme) oppure il Clipper a fiamma dolce, che ha temperatura più bassa del Jet Flame e non “stressa” il sigaro. Tenere la fiamma sotto il piede senza toccarlo e ruotare il sigaro un paio di volte per fare in modo che il piede si scaldi in maniera uniforme. Scaldando il tabacco sarà più facile accendere il sigaro. Adesso lo si tiene tra le labbra, o “gentilmente” tra i denti, si aspira lentamente, poi si trattiene il fumo per alcuni secondi, per meglio assaporarlo (il fumo del sigaro non va mai inalato come quello delle sigarette, ma va solo “assaporato”) poi si butta fuori. Si fa una tirata non troppo spesso (ogni 30-40”) altrimenti il sigaro si scalda troppo e i sapori vengono alterati. Attenzione a non farlo spegnere. Nella sua famosa guida ai sigari, Zino Davidoff (imprenditore svizzero di origine russo ucraina, che trattava sigari, sigarette e tabacchi da pipa) precisa che il tempo per fumare un buon sigaro, va dai 50 ai 60 minuti e raccomanda di aspirare solo una volta ogni minuto, senza fretta: è fumo lento!
Che sapore ha?
All’accensione, al palato, il fumo risulta piacevolmente amaro, con una componente salata e un’altra dolce, ma non troppo, spesso piuttosto austera. L’acidità è sempre presente, poiché in sua assenza, il sigaro risulterebbe “astringente”. Le note aromatiche vanno da leggermente dolci a leggermente speziate, tutte esaltate da sfumature affumicate, ricche e sottili.
Cosa mangiare?
Gustare il sigaro durante le pause di un pasto è più opportuno se ci sono secondi piatti a base di carni grigliate come bistecche e braciole, che dovrebbero essere abbinate a sigari di medio alto corpo e struttura. Con portate a base di pesce, come aragoste, cozze, gamberetti e vongole, dovrebbero essere abbinati sigari di medio corpo e struttura.
Cosa bere?
I superalcolici si addicono a quasi tutti i sigari di qualità. Quelli di corpo si abbinano bene al rum scuro e al cognac molto invecchiato, che ben si sposa con sigari corposi e ricchi di aroma, perché sprigionano ampiezza aromatica senza risultare pesanti, ma non si disdegnano anche champagne e bollicine in generale e tutti i vini dolci o da dessert; la birra, il rum anejo (minimo 7 anni) agricolo o industriale, il whisky, specialmente scotch; il cognac, brandy, il calvados e pure liquori ed infusi vari (grappa, mirto, limoncello).
Quando si regala un sigaro?
Oltre alle occasioni tipiche per fare un omaggio – compleanno o feste comandate – ci sono altri momenti che ben si prestano a rendere felice un uomo stimato e rispettato (anche una donna… perché no?) con un sigaro o un accessorio dedicato. Il superamento di un esame oppure la conclusione di un percorso di formazione, un obiettivo raggiunto ecc., tutte valide occasioni per proporre un buon sigaro!
Quali sigari per iniziare?
Per cominciare, è adatto l’Ambasciator Italico Tradizionale, prodotto dal Moderno Opificio del Sigaro Italianodi Orsago (TV): è un sigaro di semplice interpretazione, a tratti dolciastro ed erbaceo, facilissimo da fumare.
In Italia i più acquistati/fumati sono: Toro 90.1%, Robusto 85.9%, 6×60 76.6%, Churchill 56.3% e Torpedo 34.4%.
Qual è il miglior sigaro italiano?
Secondo Cigar Club Association è l’Ambasciator Italico Superiore il prodotto di punta premiato come migliore sigaro italiano che segue la centenaria tradizione italica. Disponibile nelle varie versioni: Ammezzato Classico, Bianco Stellato, Classico, Cortese, Giallo Soave, Buttero, Maturo e Nero.
Attenzione! Doverosamente – raccomandando il canonico consumo consapevole – ricordiamo che il monossido di carbonio sprigionato da qualsiasi cosa si fumi, è sostanza che provoca effetti collaterali quali nausea giramenti di testa e problemi cardiaci, perchè il fumo presenta un pH alcalino (e l’ambiente polmonare è acido…). Inoltre le membrane mucose nel naso, rispetto a quelle inalate con la bocca, assorbono più nicotina e altri agenti inquinanti nel sistema del corpo umano: questo è il motivo per cui non è raccomandabile esalare il fumo del sigaro con il naso. C’è da dire anche che il sigaro è in genere associato a un minor rischio di tumori e malattie cardiache e polmonari rispetto alle sigarette. Ovviamente il rischio è più alto che per i non fumatori.
Il sigaro è vero piacere meditativo, è il coinvolgimento di più sensi che contemporaneamente regalano lunghe sensazioni di appagamento…

Il mercato “habanos”
I “Cubani”
Comparso ufficialmente sul mercato nel 1966 con esclusivi destinatari come Fidel Castro e pochi altri… è il “Cohiba”. Con la “capa scura”, invecchiato naturalmente cinque anni, era senza alcun dubbio il vertice della produzione cubana sotto tutti i punti di vista.
Poi c’è il più abbordabile (si fa per dire) “Montecristo”… (il n°4 era quello che fumava abitualmente il “Che”,Ernesto Guevara) oggi, dopo decenni di costanza produttiva ad altissimo livello, è la marca più conosciuta al mondo in fatto di sigari Habanos.
C’è anche il “Partagàs”, la marca più apprezzata in Italia dai grandi aficionados e una delle più famose al mondo, grazie alla splendida manifattura. La “fazenda” è visitata ogni anno da decine di migliaia di turisti entusiasti. Il Partagàs è, da 150 anni, il sigaro cubano sinonimo di gran carattere e struttura e dal grande impatto gustativo.
Il “Romeo y Julieta” ancora oggi la sua produzione continua nella stessa manifattura in cui erano arrotolati i sigari destinati a Sir Winston Churchill (che non a caso dà il proprio nome al sigaro della sua linea più famosa) ed il mito di Romeo y Julieta si rinnova grazie alla nuova anilla (anello col marchio) e agli originali e splendidi tubi bianchi e rossi.
Per non fare torto a nessuno, citiamo gli “Hoyo de Monterrey”, gli “Herman Upmann”, i “Trinidad” (destinati ai corpi diplomatici e alle figure politiche internazionali) i “Cuaba” (con le due estremità – testa e piede – rastremate e con i lati lunghi non paralleli) e poi i “San Cristobal de la Habana”, i “Punch”, i “Vegas Robaina”, i “Bolivar” (al top della gamma Habanos, con i suoi Belicosos, Royal e Coronas in primis, ma anche con il mitico Gold Medal) e ancora i “Ramon Allones” (per i veri intenditori) gli “Juan Lopez” i “Sancho Panza” i “Por Larrañaga” (i preferiti di Kipling ed Orson Welles) i “Rafael Gonzalez” i “El Rey del Mundo” (gran rapporto qualità/prezzo) i “Saint Luis Rey” i “Fonseca” (per occasioni speciali e personaggi eccellenti) le “La Gloria Cubana” i “José L. Piedra” e i “Quintero” (marca che si rivolge al vasto pubblico e ai neofiti).

Ma poi ci sono loro… i “Sigari del Brenta”: una storia secolare di popoli, territori, tabacco e… contrabbando
Le origini e la storia del tabacco “Nostrano del Brenta” si perdono nel tempo: pare sia stato un monaco benedettino a portare nella Val del Brenta il seme del tabacco che aveva nascosto nell’incavo del suo bastone… Verità o leggenda che sia, comunque è storicamente assodato che il tabacco in Italia comparve per primo a Campese e nella Valle del Brenta, verso la fine del ‘500, proprio ad opera dei monaci che ivi avevano un monastero e che nell’arco di pochi anni divenne l’unica coltura praticata in valle. Tra il 1763 e il 1796, furono stipulati tre contratti sulla lavorazione del tabacco tra i rappresentanti della Repubblica e i Comuni di Valstagna, Oliero, Campolongo e Campese. Iniziano allora le prime produzioni dei leggendari “pifferi del brenta”. Col trattato di Campoformio tra Napoleone e gli Austriaci si sancì la caduta definitiva della Serenissima Repubblica di Venezia. L’Austria confermò il privilegio di coltivare il tabacco nella valle. Nel 1870 la tradizionale coltura del tabacco nella valle venne progressivamente abbandonata, schiacciata dall’eccessiva pressione fiscale nel frattempo imposta dai Monopoli del neocostituito Stato italiano. E la popolazione emigrò in massa verso terre lontane. A riprova di questa difficile situazione, la Prefettura di Valstagna, emise la prima sentenza ufficiale contro il contrabbando. Il ricorso al contrabbando era un’abitudine diffusa tra le famiglie di coltivatori di tabacco in Valle, per cercare di arrotondare i magri proventi derivanti dai vincoli di prezzo imposti dal Monopolio. I processi per contrabbando in questo periodo erano a decine. Questi ultimi accadimenti perdurarono ben oltre il termine della seconda guerra mondiale. Nel 1939, un gruppo di 16 agricoltori costituì, in forma di cooperativa, il “Consorzio Tabacchicoltori Bassano del Grappa”, poi divenuto Consorzio Tabacchicoltori Monte Grappa, con l’intento di fornire assistenza ai soci nella coltivazione, nella lavorazione e nella vendita del tabacco coltivato.
Nel 2012, l’Antico Sigaro Nostrano del Brenta 1763 fa il suo esordio sul mercato. Il primo nato della famiglia è “Il Doge”, un sigaro interamente fatto a mano con fascia e sottofascia.
Coltivazione e manifattura del tabacco Nostrano del Brenta
Le aziende che coltivano e conferiscono il tabacco Nostrano del Brenta sono tutte situate in Veneto, nelle provincie di Padova, Treviso, Venezia, Verona e Vicenza. In questo territorio, nel corso dei secoli, l’originale pianta “habanos” – poi divenuta Nostrano del Brenta – si è adattata e sviluppata esaltando tutte le proprie qualità. Le piantine, sono prodotte in serre flottanti che garantiscono alla coltivazione le migliori condizioni di crescita attraverso soluzioni acquose ricche di sali nutritizi. A crescita compiuta avviene la raccolta delle foglie, generalmente tra fine agosto e settembre. Le singole foglie sono appese su “filze” o “smussi” in appositi locali in modo che le foglie si essicchino naturalmente all’aria. Dopo circa 2/3 mesi dalla raccolta, il tabacco ha completato la fase di “ammaronamento” e, raggiunto il giusto grado di umidità all’arrivo della stagione delle nebbie, i coltivatori ammucchiano le filze a terra per poi coprirle con teli in modo che il tabacco completi la fase di cura “in massa”. Poi, la cernita e l’eliminazione di quelle non idonee e si inscatola il tabacco, diviso per corona, per conferirlo, a marzo, al Consorzio che provvede direttamente a tutte le ulteriori e diverse lavorazioni. Infine si procede alla costruzione del sigaro. Dalla fermentazione al sigaro, si arriva attraverso le sapienti mani delle sigaraie.
“Amici del Nostrano del Brenta” è associazione che nasce e si sviluppa per passione. Organizza serate di presentazione, degustazione e narrazione sul tema della coltivazione del tabacco nel Canale di Brenta, alla riscoperta delle tradizioni e dei sapori di un tempo. Durante gli eventi, si fuma e ci si immerge nella secolare storia del contrabbando di tabacco con i brani del libro “Foglie di Tabacco” di Marco Crestani o nella faticosa realtà della sua coltivazione con il film “Fazzoletti di terra” del regista Giuseppe Taffarel con l’auspicio che così si possa riscoprire e valorizzare il territorio del Canale di Brenta, dove queste vicende e queste tradizioni si sono sviluppate.

Un altro sigaro…
E’ l’Antico Toscano che nacque casualmente a Firenze nel 1815 in seguito ad un violento acquazzone estivo che inzuppò una partita di tabacco Kentucky che poi, a causa del caldo, subì una fermentazione ammoniacale. Fu messo tutto ad asciugare e, perché non si perdesse, venne usato per produrre sigari di basso costo, che incontrarono ben presto il favore dei fumatori, varcando le frontiere del Granducato, tanto che, intorno alla metà dell’Ottocento a Napoli se ne produceva uno simile che era chiamato “Fermentato Forte” o “Napoletano”. Toscano® è un marchio registrato da Manifatture Sigaro Toscano S.p.A. È prodotto in stabilimenti collocati presso Lucca, in Toscana, e Cava de’ Tirreni, in Campania e può essere realizzato a mano o a macchina, il che ne determina differenze qualitative e di prezzo. Il Toscano ha una caratteristica forma biconica con estremità tronche (bitroncoconica) che hanno un diametro inferiore rispetto alla parte centrale, chiamata pancia. Testa e piede del sigaro, sono quindi uguali, in questo si differenziano infatti dai caraibici. Il diametro del sigaro varia leggermente, a seconda del tipo, da un minimo di 13 mm fino a 20 mm. L’unica eccezione importante è rappresentata dal “Il Moro” che ha dimensioni imponenti: diametro della pancia di 20 mm e lunghezza di circa 230 mm. Tipicamente, il Toscano ha superfici irregolari, talora bitorzolute e si riconoscono le nervature delle foglie della fascia. Tali irregolarità sono maggiormente evidenti nei sigari fatti a mano e costituiscono uno dei tratti caratteristici del Toscano, dovute all’assenza di una sottofascia e la lavorazione che non prevede la messa in forma nei torchietti di legno, come invece avviene per i sigari di tipo Avana. Da qui il soprannome di “stortignaccolo”. Il Toscano è costituito da una fascia esterna e dal battuto interno, detto anche “ripieno”. La varietà di tabacco usata per il ripieno è il Kentucky di produzione nazionale (Toscana, Campania, Lazio, Umbria, Veneto). Solo nel caso della foglia di fascia si ricorre a foglie di Kentucky di produzione nordamericana, in quanto di maggiori estensione e larghezza. Per caratteristiche organolettiche specifiche, sono utilizzate foglie di Kentucky dell’Italia meridionale per ottenere sigari dal sapore più dolce come i Garibaldi (intero e ammezzato) i Soldati, prodotti con tabacco beneventano e i Modigliani. Ci sono, infine, le due varietà di Toscanello ammezzati “naturali” e “aromatizzati” che oggi hanno una produzione dedicata e che derivano dall’abitudine di tagliare il sigaro a metà prima di accenderlo, consuetudine che distingue i Toscano dai caraibici. Anche la preparazione della fascia del Toscano “a macchina”, prodotto nelle manifatture di Lucca e Cava de’ Tirreni, è attualmente effettuato presso aziende specializzate situate in paesi tropicali come lo Sri Lanka e la Repubblica Dominicana e si realizza formando bobine di tela sottoposte a crioconservazione. Di particolare rilievo, è la linea di produzione “a mano” nella quale le sigaraie producono i sigari in quantità pari a 520 pezzi al giorno e per la cui produzione è previsto un lungo apprendistato. Attualmente, le varietà sono ripartite in cinque famiglie: fatti a mano, lunghi naturali, pancia larga, ammezzati naturali e aromatizzati. Il Toscano si contraddistingue per un carattere deciso e forte. Gli aromi e i profumi liberati durante l’atto del fumare sono pieni, corposi, arguti e tipici di questo sigaro. Le varietà commercializzate possono essere contraddistinte da forza, dolcezza e sapidità e, nell’ambito delle varietà disponibili, spicca l’Antico Toscano forte e deciso, mentre i sigari Toscano prodotti a mano, si contraddistinguono per pacatezza, purezza e persistenza del gusto. Il Garibaldi, intero e ammezzato, essendo prodotto con foglie ad alto tasso zuccherino, produce aromi e sapori dolci, gentili e vigorosi, adeguati ai fumatori occasionali, mentre il Moro è long filler da collezione ed è realizzato a tiratura limitata, una volta l’anno. Per quanto riguarda il colore dei vari tipi di Toscano, si va da un bruno chiaro dei sigari Garibaldi ed Extravecchio al bruno rossiccio dell’Originale Selected, fino al bruno scuro delle varianti Antico Toscano, Toscano Originale e Antica Riserva. Idealmente, il Toscano dovrebbe avere un’umidità interna del 14%, ma è sufficiente che essa sia superiore al 12% con umidità relativa (intorno al sigaro) compresa fra il 65% e il 70%.
Buon fumo a tutti!
(a cura di Cristina Maccaferri)