Capisco perfettamente come sono andate le cose, e sotto sotto ne sono felice. Ora, nel momento in cui mi leggerete capiterà qualcosa di definito. Mi direte che sono ripetitivo, che non riesco a divorziare da temi e argomenti a cui sono legato. Che strana situazione! Eppure, avete ragione voi, e io sono qui a scrivere ancora di quel magico “elisir del tempo” proprio mentre ne assaporo con piacere un bicchierino. Certo, sarebbe più consono fossi seduto al tavolino di un bar storico del centro di Torino, ma me lo godo ugualmente di fronte allo schermo e alla tastiera su cui scrivo. Il mio liquido sodale è il Vermouth di Torino, ma questo lo avete compreso più che bene. E’ lui, con la sua fama indissolubilmente legata al territorio piemontese, noto e conosciuto nel mondo, per la tradizione e la storicità della produzione.

Lui, che nel 2021 ha festeggiato il trentennale dell’identificazione geografica, lui che risulta come prodotto icona del capoluogo piemontese. Il vino aromatico più famoso al mondo, con trecento, e forse più, anni di storia. Si, sono ripetitivo perché del Vermouth di Torino ne ho scritto sul web e sulla carta stampata, ne ho parlato alla radio e alla televisione. E’ ancora vibrante il ricordo di un bellissimo servizio al quale ho collaborato della rubrica enogastronomica del TG2 Eat Parade andato in onda un paio di anni fa.

Storica bevanda, tanto amata da Cavour, riscoperta a nuova vita proprio negli ultimi anni dopo un celebre e altisonante passato e un breve periodo di oblio. Oggi sul mercato si possono trovare molte etichette, l’ultima degustazione alla quale presi parte ne contava ben 53, e tutte degne di nota. Un vino che, con l’aggiunta di alcol, spezie ed erbe, principalmente Artemisia, sapientemente dosate, vide gli albori nel XVIII secolo ai piedi delle Alpi e venne apprezzato dalla corte reale dei Savoia, che contribuirono a svilupparne una vera e propria aristocrazia di Vermuttieri: loro, che furono i primi diffusori a livello internazionale di questa magnifica eccellenza.

Si, sono ripetitivo e torno a parlarne perché ne ho incontrato uno che ancora non conoscevo. Lo hanno chiamato “MU” ed è il frutto esotico dell’intraprendenza di un giovane nutrizionista, Andrea Balestrini, e di una storia recente, molto recente. Andrea era tranquillamente seduto al tavolo di un noto locale di Alba mentre si gustava un Vermouth. Fu in quel momento che gli balenò nella testa il pensiero di provare a fare un Vermouth personale. Quante volte ci vengono delle idee nei momenti più stravaganti della giornata, ma quasi sempre sorridiamo a passiamo oltre. Andrea invece ci ha creduto da subito e si è messo al lavoro.

E allora vino, la prima prova con del Moscato, ed erbe acquistate da una celebre erboristeria albese. Un esperimento che, se le cose si fossero fermate li, avrebbe portato ad avere dei regali per gli amici durante le Feste Natalizie. Ma le cose non si fermarono: anzi! Andrea continua a lavorarci e nel frattempo trova altre persone che, credono nell’iniziativa, e lo incoraggiano. Fabrizio Stecca, un enologo e Paolo Masoero, un appassionato e conoscitore di vini. Diventano così plasma per avviare la produzione del Vermouth “MU”. C’è poi una quarta persona, la psicologa Emilia Masoero che segue i passi del progetto e che citerò più avanti nel racconto.

I vini utilizzati, rigorosamente piemontesi, sono per il 10% Barbera d’Asti e il 90% Cortese.

Perché il nome “MU”? Nei libri storici del passato i nostri amici, Andrea, Fabrizio, Paolo ed Emila, si sono resi conto che spesso apparivano un paio di termini: Vermutte e Vermuttino. Non a caso una volta era tipico sentire dire alla persone: “ci beviamo un Vermuttino al posto del caffè?”. Quella sillaba “MU” sempre presente ha stimolato il nome finale.
Ma non ho finito. Anche l’etichetta, particolare e molto gradevole, ha una sua storia. Fabrizio Stecca è il titolare di un’accogliente e ben fornita enoteca a Cherasco, deliziosa cittadina della provincia di Cuneo. Si chiama “Sartine” perché un tempo, come d’altronde a Torino, le sartine erano una vera e propria istituzione popolare, e a Cherasco venivano ben istruite da Bernardina Vola. Proprio nella biblioteca storica di Cherasco i nostri quattro amici, coadiuvati dalla collaborazione di Guido Lanzardo, vengono a contatto con un antico testo storico probabilmente datato nel 500. Nel volume trovano alcune tipologie di calligrafia, utilizzate per redigere i testi sacri, e i consigli su come disegnare le forme geometriche. Emilia ne resta affascinata e, oltre ad avere collaborato per la scelta del nome del Vermotuh, si affretta a realizzare l’etichetta dell’elisir. Non mi dilungo, lascio a voi la piacevolezza della stessa, sapientemente realizzata e stampata su carta vegetale.

Nel frattempo per il “MU” arriva anche la dicitura di Vermouth di Torino Rosso Superiore, appellativo per il vino speziato che supera i 17 gradi.
“Mu” è perfetto come aperitivo, da gustare liscio con una scorza d’arancia; ideale in miscelazione per la preparazione di cocktails come il Negroni e l’Americano. Il suo caratteristico retrogusto amaricante lo rende anche un ottimo fine pasto, da abbinare a un pregiato cioccolato fondente o a una torta di nocciole. Oppure, come amava berlo Cavour, prima del pasto, perché stimola l’appetito.
Chi si occupa della produzione è la distilleria Torino Distillati di Moncalieri (TO) e lo potete acquistare anche sul sito dell’enoteca Sartine (www.sartine.it).
Si, sono ripetitivo, forse perché sono un attempato torinese, o forse più semplicemente perché amo il buon Vermouth, mi piace berlo e mi piace parlarne.