La carne derivata da cellule staminali, anche conosciuta come carne coltivata in vitro o carne cellulare, è un tipo di carne prodotta in laboratorio utilizzando tecniche di ingegneria tissutale. Invece di allevare e macellare un animale, le cellule staminali sono prelevate in modo non invasivo – da animale vivente – (ad esempio attraverso un campionamento di tessuto o biopsia) e coltivate in un ambiente controllato. Il processo di produzione della carne da cellule staminali inizia con l’isolamento delle cellule staminali dall’animale di origine. Queste cellule staminali possono provenire da vari tessuti, come il muscolo, il tessuto adiposo o la pelle. Una volta isolate, le cellule staminali sono coltivate in un terreno di coltura contenente nutrienti e fattori di crescita specifici.
Le cellule staminali muscolari sono indotte a differenziarsi in cellule muscolari scheletriche, le quali costituiscono il tessuto muscolare. Per far sì che le cellule muscolari si moltiplichino e formino un tessuto tridimensionale, possono essere utilizzati dei supporti strutturali chiamati “scaffold” o delle tecniche di coltura tridimensionale. Durante il processo di crescita, le cellule muscolari sono alimentate e stimolate attraverso l’apporto di nutrienti e fattori di crescita appropriati. Questo favorisce la moltiplicazione delle cellule e la formazione di tessuto muscolare. Dopo un periodo di crescita e sviluppo, le cellule muscolari coltivate possono raggiungere una massa sufficiente per essere raccolte e utilizzate per la produzione di carne da consumare. Una volta raccolte, le cellule muscolari possono essere combinate con altri ingredienti, come grasso, proteine e condimenti, per creare un prodotto finale simile alla carne ottenuta da animali tradizionalmente allevati. L’obiettivo della carne da cellule staminali è quello di fornire un’alternativa sostenibile alla produzione tradizionale di carne, riducendo l’impatto ambientale e il benessere animale associati all’allevamento intensivo. Inoltre, la carne da cellule staminali potrebbe contribuire a risolvere il problema della scarsità di risorse alimentari nel mondo, consentendo una produzione di carne più efficiente e controllata.
Le posizioni sul tema della carne coltivata possono variare da paese a paese e anche all’interno di un singolo paese, poiché coinvolgono questioni scientifiche, etiche, economiche e culturali complesse. In generale, le posizioni sulla carne coltivata variano a seconda delle opinioni individuali e delle politiche dei governi. Alcuni paesi e organizzazioni vedono la carne da cellule staminali come una potenziale soluzione per affrontare le sfide legate alla sostenibilità ambientale, all’etica animale e alla sicurezza alimentare. Altri potrebbero avere preoccupazioni riguardo alla sicurezza, alla regolamentazione o alla percezione pubblica della carne coltivata. Il governo italiano, tramite le autorità competenti nel settore alimentare, ha preso una posizione assolutamente contraria alla produzione, distribuzione e anche all’importazione di detto commestibile, con dichiarazioni ufficiali e riferendosi a pubblicazioni scientifiche perchè detta carne coltivata, ancora non ha ottenuto il beneplacito dell’Efsa che non si è ancora espressa in materia di eventuali rischi, esistenti ed emergenti, associati alla catena alimentare. L’Efsa valuta per mezzo di pareri scientifici le nuove tecnologie alla base di nuovi, potenziali alimenti, proprio come nel caso della “carne coltivata” (da cellule staminali).
La carne o in vitro – erroneamente nota come sintetica, ma chiamarla carne «sintetica» è sbagliato, in quanto per produrla, non avviene nessuna sintesi – è un prodotto originato dalle cellule staminali embrionali animali. Negli scorsi anni, diversi progetti di ricerca sono riusciti nella produzione in vitro attraverso un processo di differenziazione cellulare effettuato nei laboratori di mezzo mondo. Anche in Italia ci siamo riusciti grazie al nostro spiccato background che permette l’utilizzo di bioreattori d’acciaio (contenitori in cui avvengono le reazioni guidate da cellule o parti di esse, come gli enzimi proteici) luogo in cui si alimentano le cellule (spesso in forma di zuccheri) per farle crescere o per produrre le molecole che ci interessano. Il bioreattore è il luogo ideale per tenerle sotto controllo, con sensori al posto di telecamere, a cui si aggiungono numerose analisi fatte proprio sulle cellule prelevate come campione. In teoria la carne prodotta in laboratorio ha il potenziale per sfamare una popolazione globale in espansione, risparmiando al contempo gli animali dalla macellazione e imponendo un minore impatto ambientale sul pianeta rispetto alla carne tradizionale.
La pandemia ha ritardato i tempi di commercializzazione dei nuovi prodotti, chiudendo i laboratori dell’azienda e rendendo più difficile l’approvvigionamento di alcune forniture.
L’America, si sa, spesso precorre i tempi e lì, “Upside Foods” (con sede a Berkeley, in California) è cresciuta da startup poco conosciuta a beniamina dell’industria della carne coltivata, valutata 1 miliardo di dollari e sostenuta da investitori come Bill Gates, Richard Branson, Kimbal Musk, Leonardo Di Caprio e i giganti della carne Tyson Foods Inc. e Cargill Inc. A livello globale, oltre 150 aziende del settore hanno raccolto finora 2,8 miliardi di dollari. Ciliegina sulla torta: la Food and Drug Administration, ha dichiarato per la prima volta sicuro il pollo coltivato da Upside Foods. E altre aziende hanno spostato il proprio core business considerando che da due grammi di cellule è possibile ottenere 1000 tonnellate di carne (!) A Singapore sono già in vendita crocchette di pollo coltivate in laboratorio. In Svizzera, una start-up sta lavorando su bistecche e filetti di manzo coltivati. Sebbene questa tecnologia permetta di produrre tonnellate e tonnellate di carne da pochi grammi di cellule, rimangono molti interrogativi sulla sicurezza e l’impronta ecologica anche se – soprattutto in Svizzera, dove si consumano ben 51 kg di carne pro capite l’anno – questa tecnologia potrebbe contribuire a ridurre l’impatto ambientale della produzione di carne da animali d’allevamento senza doverli allevare per 18 o 24 mesi e poi macellarli. Potrebbe anche alleviare le preoccupazioni del Governo elvetico in materia di sicurezza alimentare, dal momento che le coltivazioni sono minacciate dal cambiamento climatico e i mangimi per il bestiame sono diventati limitati e più costosi, a causa della guerra in Ucraina. Ma prima di giungere sui nostri piatti, la carne in vitro dovrà superare numerose sfide, dai costi molti alti alle rigide normative europee che per ora non hanno ancora ottenuto l’ok dell’Efsa. Intanto la start-up (fondata vicino a Zurigo nel 2019) si sta preparando a lanciare la sua carne di bovino “di qualità svizzera” a Singapore nel 2023 dove il processo per ottenere le autorizzazioni è più veloce.
Nell’Unione europea (UE) la procedura per valutare la sicurezza e la validità nutrizionale della carne coltivata è disciplinata dal rigido regolamento sui nuovi alimenti e richiede almeno 18 mesi di tempo. Anche la Svizzera adotta questa normativa. Dunque quella carne coltivata, non arriverà nel mercato europeo se non nel 2025.
A Rehovot, in Israele, sono già molto avanti, al punto che lì una startup vuole sostituire pollai, stalle e macelli con bioreattori per sfornare carne a base di cellule per i commensali americani ed è già in trattative con le autorità di regolamentazione statunitensi, per iniziare a offrire i suoi prodotti nei ristoranti entro la fine del prossimo anno. L’azienda ha appena aperto quello che chiama il primo impianto industriale di carne cellulare al mondo, che sarà in grado di produrre 500 chilogrammi al giorno tra manzo, pollo, maiale e agnello.
N.B.: Anche trasmissioni televisive d’inchiesta si sono interessate all’argomento “carne coltivata”: una (della rete pubblica, lunedì 3 luglio u.s.) in particolare – con “sospetta attenzione” – ma più che approfondire e analizzare le principali notizie per informare l’opinione pubblica a 360° e dare un quadro obiettivo della situazione, la giornalista in video, rincorreva insistentemente i politici del caso (il ministro Lollobrigida e il presidente Coldiretti, Prandini) come per coglierli in errore e comunque per smentire ripetutamente le loro affermazioni… mah! Peccato perché il tema era sicuramente interessante, ma, per palese partito preso, trattato in stile “tele Kabul” (…) con l’assenso del conduttore Sigfrido Ranucci (forse “eccessivamente radicato” nel programma dal 2017)… lo spettatore medio, che ha resistito alla tentazione di cambiare canale, si sarà chiesto se davvero erano tutte reali le informazioni fino allora diffuse oppure se, col montaggio “taglia e cuci” per fare dire quello che si vuole agli intervistati… erano state verosimilmente “manipolate”.
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