E vabbè… lì c’è il mare, quello blu della Liguria, Villa Ormond, con il giardino giapponese, palme e uliveto antico, la cattedrale di San Siro, del XII secolo (con la torre delle 12 campane e l’imponente crocifisso sull’altare), lo storico Casinò municipale – nell’elegante edificio Art Noveau – che comprende un bel teatro, dove, ad ascoltare bene… risuonano ancora le note delle canzoni del Festival della canzone italiana di settant’anni fa… e, nelle vicinanze, c’è la chiesa di San Salvatore che è caratterizzata dalle famose 5 cupole a cipolla e, a proposito di chiese, da visitare, ci sono anche quella russa ortodossa con la passeggiata dell’imperatrice, il santuario della Madonna della Costa e i giardini di Regina Elena…. Poi, ovviamente, c’è il teatro Ariston (lì vicino si intravede la statua di Mike Bongiorno) che, in questi giorni per via del Festival della canzone italiana, è invaso nei siti di ogni ordine e grado e ha addosso gli occhi di tutto il mondo…
Per i turisti “fai da te”, già tutto questo potrebbe bastare per “fare il pieno” e partire subito per la capitale della Riviera dei Fiori: Sanremo!

Ma ce n’è di più! Il suo centro (tra corso Matteotti e via Roma) è uno scorcio di Medioevo (risale all’anno 1000) con stradine ripide, passaggi coperti e piccole piazze (si chiama la Pigna). La città moderna, invece, si è trasformata negli ultimi anni da borgo di pescatori, in elegante centro turistico di fama mondiale, con servizi e disponibilità di prim’ordine per accogliere visitatori e turisti in ogni periodo dell’anno e per intrattenerli con manifestazioni e infinite possibilità di divertimento. Alcuni esempi? Allora… mille escursioni da fare a piedi o in bicicletta, magari percorrendo l’antica strada romana e raggiungendo la Val Nervia, magari per fermarsi a Dolceacqua, magari per degustarne gli ottimi vini rossi pregiati (da assaggiare il Rossese di Dolceacqua – sempre magari – gustando la focaccia tipica e un piccolo dolce locale chiamato “michette”)… Beh, magari!

Tra gli altri siti in zona, si può visitare il castello dei Doria e camminare sul famoso ponte dipinto da Claude Monet… I turisti più “sedentari”, potranno ammirare la sfilata dei carri fioriti di “Sanremo in Fiore” e gli appassionati di sport, assistere alla Milano-Sanremo la famosa corsa ciclistica che apre la stagione delle Grandi Classiche (circa metà marzo) o al Rallye di Sanremo (ottobre) gara motoristica entrata nel mito…
Ma per vedere tanti posti, parchi, monumenti, girare per musei e sul lungomare, occorrono energie, che si possono incamerare – anche in modo molto appagante – infilando le gambe sotto ad un tavolo di una bettola, locanda, trattoria, ristorante (tutto dipende dal budget disponibile) e se c’è una certezza in quel di Sanremo, è che in qualsiasi struttura si decida di mangiare, la qualità di cibo e bevande, è sempre più che buona, ottima e in alcuni casi, eccellente; dunque, a questo punto diventa obbligatorio assaggiare almeno alcune delle più note specialità locali: il posto d’onore è per le arcinote trofie – o trenette o linguine – al pesto (e qui il pesto è religiosa tradizione e, oltre a soddisfare le papille gustative, oggi è pure approvato a pieni voti anche dalla moderna nutraceutica: il basilico e l’aglio hanno azione antibatterica e depurativa, su fegato, stomaco, intestino, rinforzano cuore e circolazione e abbassano il colesterolo, i pinoli e l’olio d’oliva sono fonte di grassi buoni e minerali preziosi per la pelle, le articolazioni e la salute in generale… Se è poco!) e per appagare il palato, da abbinare un buon Vermentino Cà du Farrà (la novità di quest’anno): paglierino chiaro, riflessi verdolini, fine, con note floreali di fiori di campo e camomilla, erbe aromatiche e sentori fruttati di pesca a polpa bianca, mandorla non tostata e mela golden; vivace, sapido, armonico e persistente. Da osare…

Ancora come primo piatto, pansoti borragine e pesto (o salsa di noci): pasta di estrazione contadina, somigliante ai ravioli nazionali, è ripiena di una sorta di spinacio selvatico; anche per questo, adattissimo un Vermentino o un Pigato.  Sempre simili ai ravioli, ci sono anche i Barbagiuai: pasta ripiena di zucca, riso e formaggio (nella vicina Francia si chiamano Tourtons); buoni caldi, buoni freddi, sempre buoni!
Passando ai secondi della tradizione, ma preferiti dai “piscivori”, da menzionare il cioppino (il “ciuppin” è la zuppa di pesce del territorio) con un flûte di leggero Chardonnay, strutturato, non troppo ricco, meglio se affinato in acciaio, con lievi note di legno che con la sua tipica freschezza si armonizza col piatto. Sempre a base pesce, c’è da gustare anche lo stoccafisso brandacujun (quest’ultima non è una parolaccia… ma deriva dal fatto che una volta, gli uomini che “brandavano”, cioè mescolavano lo stoccafisso, debitamente accoppiato con le patate, col mestolo di legno in senso orario per una ventina di minuti, tenevano la pentola tra le gambe…) questo piatto può essere un secondo e anche un antipasto; si abbina al meglio con un vino non del territorio: Alma Brut Cuvée di Bellavista, bollicina favolosa della Franciacorta, un metodo classico corposo e intenso, dall’ottima sapidità e effervescenza, con profumi freschi di agrumi maturi, pere e note delicate di vaniglia e clorofilla, con una buona corrispondenza tra quanto captano il naso e gli aromi in bocca. Poi c’è la burrida (o pesce in tocchetto) piatto fondamentale della tradizione ligure: è una zuppa di pesci (grongo, cefalo, palombo, seppie, triglie, code di rospo, moscardini) tagliati a piccoli pezzi e cucinati in umido con olio di oliva, pinoli, funghi, capperi, prezzemolo e aromi vari; con la burrida si beve un Cinque Terre Costa De Campo DOC: note aromatiche mediterranee, pesca gialla matura, agrumi e fiori di campo, al palato è morbido e pieno, sapido e fresco, equilibrato e persistente. Ottimo.

Poi, invece del pesce, la carne: lo “zemin” (frattaglie di bovino o ovino o anche di pesce, tutto alla griglia) con costine di maiale ai ceci, da abbinare al principe dei vini della zona: il Rossese di Dolceacqua (detto anche solo Dolceacqua) rosso chiaro, sapido e fragrante, fruttato, con forti richiami mediterranei, di terra e di mare; in bocca poco tannico, con fondo amarognolo; particolare caratteristica la sapidità accentuata che con la buona acidità percepita, ne fanno un vino davvero molto gradevole da bere. Per palati più esigenti, o se si preferisce qualcosa di più corposo, è da considerare un Granaccia di Quiliano: colore rosso intenso, 3-4 anni di invecchiamento, vinoso, con sentori di more e di ribes, sapido e vellutato, adattissimo a piatti a base di carne, specie cacciagione. Un altro secondo, proprio della zona, è il coniglio alla sanremasca con vino rosso, pinoli e olive taggiasche (in bianco o marinato o al pomodoro) e, pur preparato con erbe aromatiche e aglio di Vessalico, è praticamente inesistente la componente speziata. Si sposa meglio con un Maggiorina (Le Piane 2016) fruttato, minerale e speziato, “uvaggio” dell’Alto Piemonte, che in questo caso è vino più pertinente di uno dei dintorni e ci sta…

Passando ai formaggi, c’è il brussu (o bruzzu): cremoso e spalmabile, ricavato dalla ricotta ovina o caprina o vaccina, dal gusto molto intenso, si mangia con il pane di Triora e, chi vuole, può abbinare “birre speciali”, quelle acide: le “Geuze”.
E la farinata? (anche fügassa o fainè o fainà, qui è la sorella di quella di Zena…) specie di tortino schiacciato di ceci (de çeixi in ligure) cotto al forno – è pleonastico ricordare che gli “autoctoni” se la godono tutte le mattine “pucciata” nel cappuccino… – e c’è anche la torta verde sanremasca, che non si può non assaggiarla… È una focaccia di pasta brisé ripiena con zucchine, bieta, pisellini o anche carciofi, ottima come antipasto, o piatto unico, anche da picnic. Tra le schiacciate degne di nota (…) la Sardenaira è senz’altro sul podio: condita con pomodoro, acciughe, olive rigorosamente taggiasche e aglio; si chiama così perché originariamente prevedeva le sardine invece delle acciughe… Con tutte, a scelta, un calice di Vermentino Golfo del Tigullio, per sapidità e alcolicità è ottimo per contrastare la grassezza dei vari ripieni,  oppure un Lagrein Rosato, indicato per la spiccata acidità o, ancora, un Malvasia Parmigiano Frizzante, morbido e aromatico, ideale, questo, per tutte le “fügasse”.

Per concludere in dolcezza, c’è la Stroscia di Pietrabruna (tipico dolce povero dei dintorni di Sanremo) a base di olio, farina e zucchero, friabile, sottile e scrocchiarello, si spezza con le mani (strosciare vuol dire  rompere) è un dolce De.Co. di lunghissima conservazione chiamato “Dolce dei due Santi” (San Gregorio e San Matteo) perché dura il lasso di tempo tra le due feste patronali; per la Stroscia, vino “zuccherino”  (Pigato passito, ma anche un Vermentino, ottimo per “inzupparla”) per i più esigenti, un Riviera Ligure di Ponente DOC Moscato passito, aromatico, complesso, al palato dolce e armonico o, non proprio della zona, ma molto adatto è lo Sciacchetrà delle Cinque Terre: colore giallo, profumo ampio e persistente, con sentori di mela, ananas, albicocca e anice; anche da meditazione.
E come non ricordare i Baci delle Dame – ma proprio quelli di Sanremo – golosa variante al cioccolato dei classici baci di dama alle nocciole piemontesi, o di quelli di Alassio: nocciole tostate, cioccolato e cacao amaro, friabili e zuccherosi da sciogliersi in bocca, ideali da gustare con il caffè a fine pasto o per concedersi una piccola coccola durante la giornata.

Oltre ai piatti della tradizione, facendo una capatina a Sanremo, bisogna tenere in considerazione che in concomitanza con lo svolgimento del Festival (primi di febbraio) il CNA di Sanremo, con il Gruppo Morenews, sostengono il “Piatto Festival” – quest’anno con lo chef Enrico Derflingher – che delizia i fortunati assaggiatori con il Risotto Sanremo, con gambero viola e fiori di Nasturzio, consigliato con un buon Vermentino locale floreale e gentile ma sempre con personalità che bilancia l’acidità del pomodoro e la tendenza al dolce del gambero.

Allora, tutti a Sanremo e… Prosit!