Il tartufo (fungo Ascomycota sotterraneo, genere Tuber) il 21 dicembre dell’anno appena trascorso – finalmente (…) – è stato riconosciuto dall’Unesco come Patrimonio Culturale Immateriale e iscritto nella lista rappresentativa “Cerca e cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali”. La candidatura era stata inoltrata ben otto anni fa da Lucia Borgonzoni, sottosegretario al Mibac e dalle Associazioni dei tartufai, tra cui la Federazione Nazionale Tartufai Italiani e l’Associazione Nazionale Città del Tartufo, Pro loco e Tartófla di Savigno comprese, al Ministero della Cultura e a quello dell’Agricoltura. La pregiata trifola, la cui crescita dipende da fattori stagionali, oltre che ambientali, si forma nel sottosuolo a una profondità di circa 60 cm (eccezionalmente fino a un metro) ed è preziosa, vista la rara reperibilità. Si conosce l’esistenza del tartufo già dai tempi biblici di Giacobbe (1600 a.C.) e del faraone Cheope, che gradiva un “simil-tartufo” cotto nel grasso d’oca, poi nell’antica Roma, era presente sulla tavola di Lucullo, uomo dei proverbiali stravizi per il cibo e l’arte del banchettare, per rientrare in scena nel Rinascimento con Caterina De’ Medici, a cui va il merito di averlo portato alla corte di Francia, fino al 1788, quando il medico torinese Vittorio Pico descrive il tartufo “bianco” chiamandolo “Tuber magnatum” (tartufo dei potenti) da cui il nome botanico. Più recente testimone della sua storia è Giacomo Morra, ristoratore di Alba che nel 1929 rende il tartufo bianco alimento di culto internazionale, eleggendolo protagonista degli eventi di richiamo gastronomici e turistici. Oggi il tartufo per la legge italiana del 1985, in etichetta deve solo evidenziare la varietà, non la provenienza. Da qui i prezzi che abbracciano un range che va a seconda della forma, del colore e della provenienza: i tartufi bianchi sono più costosi perchè sono rari, hanno la stagione breve, non si congelano bene e sono più saporiti; i tartufi neri (tuber melanosporum) costano meno perché hanno la stagione più lunga, sono congelabili e meno rari. I prezzi si aggirano intorno ai 2000 euro al Kg (200 € l’etto) anche se a inizio stagione 2021 le quotazioni – per il caldo estivo e la siccità – hanno portato quello bianco a toccare i 4000 € al Kg per le pezzature più grandi. Per i tartufi neri, il più costoso è di Norcia (PG) mentre il più economico è il “nero uncinato”, prezzi, dai 200 ai 500 euro al Kg (20/50 € l’etto). In un ristorante medio, per gustare il tartufo bianco, si spendono in media 250 euro l’etto (calcolando circa 30/35 € per una spolverata di 10 g da aggiungere al prezzo della portata). Sarebbe importante chiedere sempre che la “grattata” sia effettuata davanti a voi e, magari, dopo avere ben odorato il tartufo (che deve avere sentori di miele, fieno e aglio, equilibrati tra loro). Nota di colore: al Cipriani di Montecarlo (ristorante del Principato di Monaco di Flavio Briatore) il tartufo bianco arriva a costare anche 600 euro l’etto… (con tanto di fattura di acquisto del grossista messa “online”…).
Dopo Alba e Acqualagna, c’è anche Savigno, posto sulla collina bolognese, dove ogni anno a novembre si svolge il Festival internazionale del tartufo bianco (paese che dal gennaio 2014 è una delle cinque municipalità del nuovo comune di Valsamoggia) inserito a pieno titolo come “capitale della trifola”. Finito il più prezioso “Pico Magnatum” in questo periodo lì, si trova il “tartufo nero” dal gusto e dal profumo caratteristici. Il 25 gennaio scorso, è stata organizzata la “Première Truffle Meat” una vera e propria “experience” del pregiato tubero.
Amedeo, rappresentante della quarta generazione dei Mongiorgi – vera istituzione a Savigno con l’attività di famiglia di macelleria e salumeria dal 1898 – divenuta “Bottega Storica della regione Emilia Romagna” sita sotto i portici della piazza centrale (in via Marconi n° 2) – con la madre Anna e il padre Guido, ha ampliato l’attività con un reparto gastronomico e una cantina che sono diventati grande richiamo per i buongustai provenienti da ogni dove, che arrivano per assaporare le ricette realizzate secondo le antiche tradizioni locali, tra cui le tante rinomate specialità a base di tartufo bianco pregiato e tartufo nero di Savigno.
La “chicca”, a tal proposito, è la “costata al nero di Savigno” una preparazione – novità del panorama gastronomico – con il “truffle-factor” (il fattore tartufo) che ha dato risultati sorprendenti, usato nella crema di frollatura con burro chiarificato, che permette di realizzare una maturazione lenta e gustosa della carne di bovino di razza Bianca modenese. E qui si apre un mondo… perché la carne in questione è davvero di qualità eccelsa: i capi sono selezionati direttamente da Guido, scelti in piccoli allevamenti della zona, di cui segue personalmente tutti i passaggi della filiera: dal pascolo per l’alimentazione degli animali (risorse cerealicole e foraggiere e fonti proteiche vegetali) fino al giusto tempo di frollatura, per finire con la “marezzatura” (le piccole venature e chiazze di grasso bianco) all’interno del tessuto muscolare, che altro non è che la percentuale di tessuto adiposo in essa contenuta, grasso che gioca un ruolo fondamentale poi durante la fase della cottura. Quando ci si riferisce alla scelta dei tagli di maggiore pregio, la marezzatura è elemento di gran qualità della carne, qualità dovuta in principio, al benessere dell’animale allevato. Il tutto poi, realizzato con l’ausilio di un frigorifero “speciale” dove la carne si frolla per oltre 70 giorni.
Poi il taglio è cotto sulla brace del camino a temperatura controllata, nel burro al tartufo nero – appunto, di Savigno – perché il burro dà un gusto più intenso e protegge la carne dall’ossidazione, impedendone la disidratazione, evitando anche la rifilatura e lo scarto che si produce col classico “dry aging” (metodo di frollatura a secco, non con sacchettini sottovuoto, ma con lungo periodo di refrigerazione ad umidità controllata e che asciuga superficialmente la carne, che in 5/8 settimane, cede fino al 20% di liquidi) dopo di che la costata è marmorizzata alla perfezione, tenera e pronta per la griglia o la padella… Ovvio che il risultato sia eccellente…
L’aspetto, il profumo e il sapore, sono perfetti, ma di certo è impossibile descriverne il gusto, quello va solo assaporato con le gambe sotto al tavolo, magari proprio a Casa Mongiorgi a Savigno (!) ottima occasione per degustare anche le altre specialità di un possibile menù: antipasto: salame, artigianale a grana grossa (…a km “buono” come dice Guido) genuino, senza conservanti o altre sofisticazioni con focaccia e grissini, preparati dalla chef Anna; primo: tortellini con ripieno classico, ma senza il lombo suino e senza noce moscata, serviti in brodo di Bianca modenese, davvero saporiti, tanto da poterli mangiare senza Parmigiano; secondo: “Picanha frollata con @suntorywhisky”, ottenuta dopo un percorso che dura 45 giorni dove il whisky conferisce ancora più gusto a un taglio già eccellente di suo; il tutto accompagnato e da un “rosso” di quel buono (ottimo anche questo) della fornita cantina della Casa e, per concludere in dolcezza, un cono con mascarpone, perle di aceto balsamico al tartufo e generoso tartufo bianco e (per quei pochi che non gradissero il buon tubero) in alternativa, degustazione dei dolci più apprezzati nel 2021: cannolo siciliano, zuppa inglese e mini torta di caffè e cioccolato… Eh?
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